La valle del torrente Chero, che scorre a pochi metri dalla città romana di Veleia, fu scenario – insieme alla Val Riglio ed in particolare alla località di Montechino – tra la seconda metà dell’Ottocento e il secondo dopoguerra, di un’importante attività di estrazione petrolifera.
Il paesaggio cambiò profondamente aspetto e accolse le torri di estrazione lignee, chiamate derrik, che per decenni svettarono sulle sponde del fiume e sulle dolci colline di questo territorio.
Oltre ai mutamenti del paesaggio, vi furono ricadute sociali importanti, con un grande afflusso di manodopera nella zona che venne ribattezzata “Il Texas d’Italia”.
La ricchezza dal punto di vista dei combustibili minerali di questa zona era nota fin dal Settecento, quando iniziano le ricerche e l’estrazione di quello che allora era chiamato “olio di sasso”, che attrasse l’attenzione anche del noto fisico Alessandro Volta.
Fu nel 1866 che si iniziò una sistematica attività di ricerca del petrolio in questa parte dei Colli piacentini, con iniziative private prima a trazione genovese, poi finanziate dal conte Marazzani, e infine per mezzo di società straniere: la francese Petroles de Montechino, cui subentrò una compagine tedesca e poi ancora la Società Francese dei Petroli, guidata da Adolfo Zipperlen. Quest’ultimo, con alle spalle una grande esperienza nella perforazione petrolifera, si era convinto della ricchezza minerale di quest’area grazie alle letture dei classici latini, convinzione che mantenne con costanza e che venne ripagata dal rinvenimento dei giacimenti maggiori nel 1888.
Il petrolio di Montechino risultava essere straordinariamente puro, composto per più del 50% di benzina, per il resto di petrolio lampante, con solo una piccolissima percentuale di oli pesanti.
La scoperta modificò radicalmente il paesaggio – naturale ed industriale – della zona: detto delle torri “Derrick”, venne costruito il primo grande insediamento industriale a marcata vocazione petrolifera a Fiorenzuola (antesignano dell’ENI), e si organizzò un trasporto continuo del petrolio estratto prima in botti a dorso animale, poi con un oleodotto.
Per la perforazione, che poteva raggiungere i 30 metri al giorno, vennero inizialmente chiamati operai specializzati dalla Galizia, per poi formare una solida base di manodopera locale (“i perforatori”), che caratterizzò a lungo questa zona e che con il tempo diventò quasi “una scuola” riconosciuta a livello sovralocale.
L’estrazione petrolifera, che portò all’apertura di quasi 500 pozzi, venne sospesa nel 1950.
Ancora adesso alcuni tubi – di tanto in tanto illuminati da una fiammella originata da una sporadica fuoriuscita di gas – caratterizzano il paesaggio e testimoniano un passato industriale che tra Otto e Novecento ha profondamente modificato l’area e la sua società.