Usciti dalla guerra e passata la seconda metà degli anni Quaranta, in cui la provincia di Piacenza – ma in genere tutto il Paese – si era rimessa in piedi dai danni bellici, si aprì con gli anni Cinquanta una stagione di benessere se non maggiore quantomeno maggiormente diffuso, che segnò un vero e proprio spartiacque e costituì un acceleratore di alcuni cambiamenti della società italiana.
Una delle conseguenze di quello che andò poi sotto l’etichetta di boom economico fu poi, complice anche la motorizzazione che si diffuse tra ampie fasce della popolazione, lo sviluppo di un ampio movimento turistico, prevalentemente interno. La gita della domenica divenne quindi una piacevole abitudine per gli italiani e questo comportò la necessità di adeguare molti dei punti di interesse nella Penisola in modo tale che potessero accogliere questi neonati flussi turistici. Un ruolo fondamentale in questo momento di sviluppo lo giocarono gli Enti Provinciali per il Turismo, diramazioni locali dell’Ente Nazionale Italiano per il Turismo, entità fondate già nel ventennio fascista ma che sopravvissero al regime e che diedero impulso e finanziamenti per l’organizzazione, il restauro e la valorizzazione delle destinazione turistiche italiane.
Veleia non fu immune a questo fermento, e anzi vide proprio in questi anni un ampio progetto di restauri integrativi che hanno dato al sito l’aspetto attuale. Già nel primissimo dopoguerra, sotto la guida dell’Ispettore di zona per la Soprintendenza, Giorgio Monaco, si era dato avvio ai lavori nell’area, con il ripristino delle antiche condutture di deflusso delle acque e con il sollevamento del basolato del Foro e la successiva nuova posa su di una soletta in cemento, che doveva servire a evitare la crescita continua di erbe infestanti. Già questi interventi videro il decisivo finanziamento da parte dell’Ente Provinciale per il Turismo, allora presieduto dall’avvocato Gaetano Grandi, che aveva al suo fianco il Segretario dell’Ente, Aldo Ambrogio, personalità decisiva nello sviluppo del turismo veleiate.
Sarà però dal 1952 che l’area veleiate subì la decisiva trasformazione. Con il finanziamento dell’E.P.T. di Piacenza, il controllo di Giorgio Monaco e l’autorevole supporto scientifico del Consiglio Superiore delle Antichità, istituito in seno al Ministero dell’Istruzione. Nel giro di poco più di tre anni, saranno innalzate nuovamente le colonne del Foro – certamente l’intervento più “iconico” tra quelli portati a termine – ricostruite le are onorarie che proprio nel Foro trovavano posto, lo scavo di alcuni contesti (come la Domus del Cinghiale e l’area a Nord del Foro) e la pressochè totale ricostruzione del cosiddetto Anfiteatro. Un ulteriore progetto impegnativo e destinato a mutare il volto del sito come fino ad allora era conosciuto fu la realizzazione dell’Antiquarium, su progetto e direzione dei lavori dell’architetto Pietro Berzolla. Infine, venne dato il via a una politica di piantumazione di essenze arboree – tuttora presenti sul sito – che avrebbe dovuto, nei progetti dei promotori, restituire l’elevazione degli edifici o la disposizione di colonne, come nel caso della Basilica o dell’anfiteatro.